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ASSOLTO IN APPELLO DA OMICIDIO DEL 1979

[Archivio] Rassegna giurisprudenziale 2018

Rassegna giurisprudenziale 2018 – Sentenze della Suprema Corte di Cassazione

09.08.2018 : La 2^ Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione (sentenza 16 luglio 2018 n. 32577) interviene in tema di individuazione dei “reati della stessa indole” ostativi all’applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. e chiarisce che devono considerarsi della stessa indole non solo i reati che costituiscono violazione della medesima disposizione di legge ma anche quelli che presentano profili di omogeneità sul piano oggettivo (in relazione al bene tutelato ed alle modalità esecutive) o sul piano soggettivo (in relazione ai motivi a delinquere che hanno avuto efficacia causale nella decisione criminosa). Avvocato Penalista Milano, Studio Legale Penale a Milano e Napoli, Processo Penale, Causa di non punibilità, Patrocinio in Cassazione.

 

13.05.2018 : Nuovo intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in tema di obbligo per il giudice di appello di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale mediante nuova assunzione delle prove testimoniali nelle ipotesi in cui venga ribaltato l’esito del giudizio di primo grado. Le SS. UU. nella sentenza n. 14800/2018 del 03.04.2018 affermano e ribadiscono il principio di diritto, già enunciato nelle sentenze “Dasgupta” (n. 27620 del 28.04.2016) e “Patalano” (n. 18620 del 19.01.2017) in virtù del quale “nell’ipotesi di riforma in senso assolutorio di una sentenza di condanna, il giudice di appello non ha l’obbligo di rinnovare l’istruttoria dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive ai fini della condanna di primo grado. tuttavia, il giudice di appello (previa, ove occorra, rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva ai sensi dell’art. 603 c.p.p.) è tenuto ad offrire una motivazione puntuale ed adeguata della sentenza assolutoria, dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto a quella del giudice di primo grado”. Avvocato Penalista Milano, Studio Legale Penale a Milano e Napoli, Processo Penale, Giudizio di Appello, Patrocinio in Cassazione.

https://www.penalecontemporaneo.it/upload/5339-su1480018.pdf

 

05.03.2018 : La Corte Costituzionale con la sentenza n. 41 del 02.03.2018 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 656, co. 5, c.p.p., nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni. Nella sentenza che qui si segnala, la Consulta ha ritenuto fondata, in riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 656, co. 5, c.p.p. sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce. Il fulcro del ragionamento della Corte consiste nel principio del parallelismo tra il limite di pena indicato dalla disposizione censurata ai fini della sospensione dell’ordine di esecuzione e il corrispondente limite previsto ai fini dell’accesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova. A seguito della introduzione (con l. 21 febbraio 2014, n. 10) dell’affidamento in prova c.d. allargato, per il condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni di reclusione (art. 47, co. 3-bis, o.p.), il legislatore non ha provveduto ad adeguare il limite (triennale) previsto dall’art. 656, co. 5, c.p.p. al fine di sospendere le pene comprese tra tre anni e un giorno e quattro anni di detenzione, in vista dell’accesso all’affidamento in prova allargato. Avvocato Penalista Milano, Studio Legale Penale a Milano e Napoli, Processo Penale, Esecuzione delle pene detentive, Tribunale di Sorveglianza, Patrocinio in Cassazione.

http://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2018/03/Corte-Costituzionale-41-2018.pdf

 

08.02.2018 : La 6^ Sezione Penale della Corte di Cassazione nella sentenza n. 5548 del 01.02.2018 afferma il principio di diritto in virtù del quale “nell’ipotesi di mandato di arresto europeo, legittimamente deve essere rifiutata la consegna dell’arrestato qualora anche soltanto una parte della condotta ascritta sia stata commessa in Italia”. Avvocato Penalista Milano, Studio Legale Penale a Milano e Napoli, Processo Penale, Reati contro la P.A., Mandato di Arresto Europeo, Patrocinio in Cassazione.

 

30.01.2018 : La 6^ Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sentenza n. 41768/2017) interviene in tema di finanziamenti societari verso partiti politici, di abuso di ufficio, di responsabilità amministrativa degli enti e di corruzione propria.

Per quanto riguarda la liceità del contributo ai partiti da parte di società i supremi giudici ricordano che in base all’articolo 7, comma 2, della legge 2 maggio 1974 n. 195, è necessario che l’operazione sia stata deliberata dall’organo sociale competente e regolarmente iscritto in bilancio: entrambi i requisiti devono sussistere e conseguentemente a realizzare l’illegittimità dell’erogazione è sufficiente l’assenza di uno solo (da ciò deriva, quindi, che rientrano nell’ambito di operatività della fattispecie incriminatrice i finanziamenti indiretti, e per tali devono intendersi non solo quelli mascherati sotto un diverso nomen iuris, ma anche quelli erogati per interposta persona). Pur trattandosi di reato a concorso necessario, quello di finanziamento illecito a partito politico di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974 n. 195, ammette la non punibilità di uno dei due concorrenti necessari per difetto di dolo. In questa prospettiva, ritenuta l’autonomia possibile della responsabilità del “finanziatore” e del “finanziato”, con la conseguente configurabilità del reato nonostante l’assenza del dolo in capo al “finanziato”, perché il reato sia a quest’ultimo ascrivibile, sotto il profilo del dolo, occorre dimostrare che chi riceve il finanziamento conosca l’appartenenza del denaro (o del servizio) alla società nonché l’insussistenza delle due condizioni (difetto di deliberazione dell’operazione da parte dell’organo sociale competente o difetto di regolare iscrizione dell’operazione in bilancio), le quali rendono illecita la contribuzione.

La Cassazione poi, sul fronte “abuso di ufficio” chiarisce che scatta anche in caso di violazione di norme procedimentali, quando è commessa intenzionalmente e procura un danno o un vantaggio patrimoniale che, in assenza di tale illegittimità, non sarebbero realizzabili o diverrebbero oggetto di una prospettiva di realizzazione differita nel tempo e altamente improbabile, o comunque caratterizzata da contenuti decisori significativamente diversi. Infatti, le violazioni di norme procedimentali inidonee a integrare il requisito della violazione di legge o di regolamento devono intendersi limitate solo a quelle destinate a svolgere la loro funzione solo all’interno del procedimento senza però incidere in modo diretto e immediato sulla fase decisoria.

Per quanto riguarda la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità, la competenza a conoscere degli illeciti amministrativi dell’ente «appartiene al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi dipendono», di guisa che la competenza del giudice penale in riferimento alla responsabilità degli enti è una competenza “derivata”, senza alcun adattamento, da quella per il reato presupposto, il quale è imputabile esclusivamente alle persone fisiche. Per l’effetto, poiché nell’ambito della disciplina della competenza rientra anche quella relativa alla connessione, la competenza, nel processo a carico dell’ente, può essere determinata anche per connessione rispetto a un reato addebitato esclusivamente a persone fisiche, quando queste sono imputate anche per ulteriori reati, i quali costituiscono il presupposto per la responsabilità amministrativa dell’ente.

Per ultimo, in relazione al delitto di corruzione propria, la Sesta Sezione di legittimità sottolinea che a fini dell’accertamento, nell’ipotesi in cui risulti provata la dazione di denaro o di altra utilità in favore del pubblico ufficiale, è necessario dimostrare che il compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio sia stato la causa della prestazione dell’utilità e della sua accettazione da parte del pubblico ufficiale, non essendo sufficiente a tal fine la mera circostanza dell’avvenuta dazione. Nella motivazione, la Corte ha chiarito, da un lato, che l’elemento costituito dalla prova dell’avvenuta dazione è ancor meno significativo quando l’erogazione risulta contabilizzata, giustificata e perfettamente documentata; e, dall’altro, comunque, che la prova della dazione ben può costituire un indizio, sul piano logico, ma non anche, da solo, la prova della finalizzazione della stessa al comportamento antidoveroso del pubblico ufficiale, cosicché è necessario valutare tale elemento unitamente alle altre circostanze di fatto acquisite al processo secondo cui l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti. Sempre in motivazione, la S.C. chiarisce, da un lato, che l’elemento costituito dalla prova dell’avvenuta dazione è ancor meno significativo quando l’erogazione risulta contabilizzata, giustificata e perfettamente documentata; e, dall’altro, comunque, che la prova della dazione ben può costituire un indizio, sul piano logico, ma non anche, da solo, la prova della finalizzazione della stessa al comportamento antidoveroso del pubblico ufficiale, cosicché è necessario valutare tale elemento unitamente alle altre circostanze di fatto acquisite al processo secondo cui «l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti. Si tratta di conclusione convincente giacché il paradigma normativo dell’articolo 319 del CP è esplicito nel significare che la dazione indebita, dal corruttore al corrotto, deve essere finalizzata all’impegno di porre in essere, ovvero alla già effettuata realizzazione, di un atto/comportamento contrario ai doveri d’ufficio da parte del soggetto munito di qualifica pubblicistica. Ne discende che la prova della dazione indebita di un’utilità in favore del pubblico ufficiale ben può costituire, logicamente, un indizio in tal senso, di per sé solo, tuttavia, insufficiente a dare contezza che essa sia preordinata al comportamento antidoveroso del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio: donde la necessità di un più robusto costrutto probatorio che, in assenza di una prova diretta, si conformi al dettato dell’articolo 192, comma 2, del CPP, in ambito indiziario. Avvocato Penalista Milano, Studio Legale Penale a Milano e Napoli, Processo Penale, Processo Penale, Reati contro la P.A., Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, Reati contro l’aministrazione della giustizia, Patrocinio in Cassazione.

 

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